Retrospettiva

Uno sguardo alla genesi della legislazione e alle votazioni in materia di politica degli stranieri dimostra come le posizioni al riguardo siano sempre state ambivalenti. Da un lato si collocano gli interessi dell’economia nazionale, per salvaguardare i quali è stata adottata una politica migratoria sostanzialmente liberale ogni qualvolta si è dovuto far ricorso a lavoratori stranieri. La preoccupazione principale è stata dunque quella di garantire il funzionamento dell’economia. La consapevolezza che ciò sia possibile soltanto grazie alla manodopera straniera ha fatto sì che, sinora, nessuna delle iniziative che chiedevano una limitazione dell’immigrazione abbia riscosso il favore incondizionato degli elettori.

Dall’altro lato, gli esponenti del mondo politico hanno sempre cercato di garantire un rapporto «equilibrato» tra popolazione autoctona e immigrati stranieri. Gli autori delle suddette iniziative hanno del resto sempre ottenuto risultati dignitosi alle urne. Evidentemente, hanno potuto far leva sulle riserve che gli autoctoni nutrono nei confronti dell’«altro». Non a caso l’iniziativa «Contro l’edificazione di minareti» e l’iniziativa «Espulsione» hanno ottenuto, per la prima volta nella storia delle votazioni concernenti la politica in materia di stranieri, la maggioranza dei voti.

Dal 1945 a oggi

La ripresa economica seguita alla Seconda Guerra Mondiale provocò un maggior fabbisogno di manodopera straniera. Tra il 1945 e il 1948 iniziò quindi la prima fase di reclutamento di manodopera in Italia; nel 1948 venne firmato il primo accordo con l’Italia concernente il reclutamento di lavoratori immigrati. La politica d’ammissione adottata dalle autorità elvetiche fu relativamente liberale fino all’inizio degli anni Sessanta. Il rapido aumento della popolazione straniera, tuttavia, spinse il Consiglio federale a cambiare rotta. Negli anni che seguirono fu la congiuntura economica a dettare il grado di liberalizzazione della politica d’immigrazione elvetica.

Da allora, la politica d’ammissione della Svizzera si muove pertanto tra forze contrastanti, ovvero:

  • le esigenze dell’economia nazionale di favorire la crescita economica;
  • le esigenze di politica esterna di migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori immigrati;
  • l’impegno di rispettare i principi del diritto internazionale;
  • le esigenze di politica interna di garantire la coesione sociale.

Dal 1938 al 1945

Durante la Seconda Guerra Mondiale furono emanate disposizioni speciali concernenti l’entrata e la dimora dei cittadini stranieri. Dal 1938 al 1942 furono progressivamente intensificati i controlli di confine attraverso l’adozione di diversi strumenti: obbligo del visto per i detentori di un passaporto austriaco (1938) e, successivamente, anche per cittadini di altri Paesi; timbro «J» sui passaporti degli ebrei (1938); obbligo a carico degli stranieri di notificarsi (pena l’allontanamento; 1940). Il 13 agosto 1942 furono infine chiusi i confini svizzeri. Da questo momento l’ammissione di cittadini stranieri fu autorizzata espressamente soltanto per i rifugiati politici e i disertori, mentre poterono varcare il confine soltanto le persone in possesso di un visto di transito.

Dal 1914 al 1938

Poco prima della fine della Prima Guerra Mondiale e nel periodo tra le due guerre, il Consiglio federale emanò diverse ordinanze di politica estera in virtù dei poteri straordinari conferitigli. In seguito alla votazione del 25 ottobre 1925, la Confederazione ottenne la competenza di legiferare sull’entrata, la partenza, la dimora e il domicilio degli stranieri, competenza di cui si avvalse elaborando la legge federale sulla dimora e il domicilio degli stranieri (LDDS).

Dal 1848 al 1914

Fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, i cittadini degli Stati con i quali la Svizzera aveva concluso un trattato di domicilio potevano stabilirsi e lavorare senza restrizioni nel nostro Paese. Nella pratica, tale libertà di circolazione si applicava parimenti ai cittadini degli Stati con cui non era stato concluso alcun trattato. La dimora e il domicilio erano rifiutati unicamente in caso di minaccia della sicurezza e dell’ordine pubblici. Le mansioni nel settore della polizia degli stranieri erano di esclusiva competenza dei Cantoni. L’inizio della Guerra segnò la fine della libera circolazione delle persone.

Ultima modifica 28.07.2020

Inizio pagina